Recensione Libro : IL FISCHIO DEL VAPORE E GLI ECHI DELLE BATTAGLIE 2020

copertina il fischio el vapore amazonMICHELE ANTONILLI MARIO PIETRANGELI

Recensione

Recensione Libro 2020 : IL FISCHIO DEL VAPORE E GLI ECHI DELLE BATTAGLIE

Strade ferrate e Risorgimento lungo la valle del Tevere

Gli anni che vanno dal 1867 al 1870 furono cruciali per il giovane stato italiano. Al termine della III Guerra per l’Indipendenza, la Questione Romana fomentò gli animi di governanti e patrioti e a Mentana (1867) si infransero le speranze di Giuseppe Garibaldi di dare un veloce epilogo alla vicenda. Roma fu italiana tre anni dopo, quando le truppe regolari varcarono la breccia di Porta Pia al termine di una breve campagna militare. I fatti vengono ripercorsi dagli autori a 150 anni di distanza con in sottofondo un’efficace panoramica sulle ferrovie italiane dell’epoca. Il treno fu infatti un protagonista degli eventi nonché fulcro della strategia nella preparazione di gran parte delle battaglie, ma pure figura di merito spesso dimenticata dagli storiografi più illustri. Il libro è stato realizzato per onorare l’Anniversario della proclamazione di Roma Capitale (il 3 febbraio 1871 dopo alcuni mesi dalla presa di Porta Pia a Roma da parte dei veloci Bersaglieri del La Marmora il 20 settembre 1860) Di seguito si riportano alcuni parti del libro in questione che sottolineano la sintonia che ci fu tra il treno e il Risorgimento: “Nella località sabina, Garibaldi fu accolto amichevolmente dal Colonnello Caravà, in passato suo ufficiale, ora al comando di un reggimento nel piccolo paese di confine. Il 4 novembre 1867 si arresero i prodi di Mentana e Garibaldi, dopo avere sciolto il Corpo dei volontari, dichiarò in un proclama che se la Questione Romana non fosse stata risolta secondo il voto della nazione, lui sarebbe nuovamente intervenuto. Quindi, accompagnato dal deputato Francesco Crispi, salì in un treno speciale da passo corese diretto a Firenze. Giunto a Figline, nonostante le sue proteste, fu arrestato e di qui «viaggiando a tutta velocità, fui finalmente depositato all’antico mio domicilio del Varignano, dal quale mi lasciarono poi tornare alla mia Caprera». Al Varignano rimase fino al 26 novembre 1867; poi gli fu concesso di far ritorno a Caprera, dietro sua promessa di non muoversi fino al 1° marzo del 1868. Ma non si mosse più, nemmeno dopo quella data. ”In particolare si evidenzia che Nel 1870 erano in funzione poco più di 6.000 km di linee ferrate e iniziava l’allacciamento con alcune delle reti estere; nel settembre del 1871 il traforo del Cenisio rendeva possibile l’instradamento sul territorio italiano della “Valigia delle Indie” sottraendola all’itinerario di Marsiglia. Nello Stato Pontificio Roma era collegata con Frascati, Civitavecchia, Terni e Cassino (via Velletri), e modeste stazioni facevano da capolinea di queste linee. Al 1872 esistevano, in Italia, poco meno di 7.000 km di linee ferroviarie complessivamente, il cui esercizio veniva assicurato da quattro Società principali per un complesso di 6.470 km: Società per le Strade Ferrate dell’Alta Italia, km 3.006; Società per le strade ferrate romane, km 1.586; Società per le Strade Ferrate Meridionali, km 1.327; Società per le Strade Ferrate Calabro-Sicule, km 551.”

Come noto e come indicato precedentemente, il 3 febbraio 1871 Roma fu designata Ufficialmente come Capitale del Regno di Italia, in occasione del prossimo 150° Anniversario nel libro in argomento c’è un articolato paragrafo dedicato alla presa di Roma:

1870 La Preparazione Diplomatica della Presa di Roma, i Preparativi Militari e l’Attacco allo Stato Pontificio La sconfitta di Napoleone III a Sedan il 2 settembre 1870 nella guerra contro la Prussia spianò la strada alla presa di Roma. Erano infatti i francesi i garanti dell’indipendenza dello Stato della Chiesa. Ma già il giorno prima della disfatta contro i prussiani che indusse l’imperatore francese ad abdicare era pronto un pino di guerra dello Stato Maggiore. Il governo procedette alla costituzione di un Corpo d’osservazione dell’Italia centrale. In questo contesto furono chiamate sotto le armi anche le classi dei nati dal 1842 al 1845. Il 10 agosto il ministro della guerra Giuseppe Govone convocò il generale Raffaele Cadorna cui assegnò il comando del corpo. Oltre a Cadorna il governo nominò anche i comandanti delle tre divisioni che costituivano il corpo d’armata nelle persone dei generali Emilio Ferrero, Gustavo Mazè de la Roche e Nino Bixio. Cadorna sollevò subito i suoi dubbi sulla presenza di Bixio, considerato troppo impetuoso e quindi inadatto ad una missione che «richiedeva somma prudenza». Govone, che si ritirerà pochi giorni dopo dal governo, accettò le opinioni di Cadorna e nominò al posto di Bixio il generale Enrico Cosenz. Alla fine di agosto le tre divisioni furono portate a cinque ed il comando di questi nuovi reparti fu affidato al generale Diego Angioletti e a Bixio, richiamato, che non riscuoteva le simpatie del comandante del Corpo. Il totale degli effettivi del Corpo arrivò a superare le 50.000 unità. L’esercito pontificio, comandato dal generale Hermann Kanzler, era costituito da 13.624 militari, di cui 8.300 regolari e 5.324 volontari. Il piano d’invasione dell’esercito italiano prevedeva l’ammassarsi di cinque divisioni ai confini dello Stato Pontificio in tre punti distinti: 1. A nord-est, presso Orvieto, vi era la II Divisione al comando del generale Nino Bixio; 2. Ad est vi era il grosso dell’esercito (40 mila uomini su 50 mila), costituito da tre divisioni: l’XI, guidata dal generale Enrico Cosenz; la XII, al comando del generale Gustavo Mazè de la Roche; la XIII, agli ordini del generale Emilio Ferrero; 3. A sud, sulla vecchia frontiera napoletana, era stanziata la IX Divisione, al comando del generale Diego Angioletti. Si trattava in tutto di circa 50.000 uomini. Il comando supremo delle operazioni era affidato al Luogotenente generale Raffaele Cadorna. Nino Bixio avrebbe dovuto occupare Viterbo e, con l’aiuto della flotta, Civitavecchia per poi dirigersi verso Roma. Il generale Angioletti, entrando da sud, avrebbe occupato Frosinone e Velletri per poi convergere verso l’Urbe. Qui l’esercito si sarebbe riunito per sferrare l’attacco finale. La sera del 10 settembre Cadorna ricevette l’ordine di attraversare il confine pontificio tra le cinque pomeridiane dell’11 ed entro le cinque antimeridiane del 12 settembre. Nel pomeriggio del giorno 11, fu Nino Bixio ad entrare per primo nel territorio dello Stato Pontificio: il generale avanzò verso Bagnorea (oggi Bagnoregio) e Angioletti si diresse su Ceprano (poco più di 20 km da Frosinone). Gli ordini di Kanzler, comandante dell’esercito pontificio, erano di resistere all’attacco, ma in caso d’invasione dell’esercito sabaudo, l’ordine era di ripiegare verso Roma. Così fecero gli Zuavi di stanza nelle località via via occupate dall’esercito italiano. Il 12 settembre Kanzler dichiarava lo stato d’assedio nell’Urbe. Bixio si mosse lungo la strada che scorre ad est del lago di Bolsena attraversando Montefiascone per finire a Viterbo (in tutto circa 45 km). Gli Zuavi di stanza a Viterbo ripiegarono verso Civitavecchia, dove giunsero il 14 settembre. Nel frattempo il generale Ferrero aveva occupato Viterbo prima di Bixio che, pertanto, accelerò la marcia verso il porto di Civitavecchia. La piazzaforte si era preparata per resistere a un lungo assedio. Ma il comandante, il colonnello spagnolo Serra, la sera del 15 settembre si arrese senza combattere. La mattina seguente la piazzaforte e il porto di Civitavecchia furono occupati dall’esercito e dalla marina italiane. Negli stessi giorni Angioletti prendeva possesso delle province di Frosinone e Velletri: entrato in territorio pontificio il 12 settembre, occupò la città di Frosinone il 13 e tre giorni dopo entrò in Velletri. Il Luogotenente generale Cadorna, col grosso dell’esercito si diresse verso Roma lungo la riva destra del Tevere. Ricevette però l’ordine di non seguire una via diretta verso Roma. Secondo il rapporto stilato dallo stesso Cadorna, “motivi politici” avrebbero imposto di allungare la strada. Cadorna occupò alcuni centri minori, come Rignano e Civita Castellana. Il 14 settembre le tre divisioni sotto il suo comando si riunirono alla Giustiniana (circa 12 km a nord-ovest di Roma). Entro due giorni furono raggiunte da Bixio e da Angioletti. L’attacco alla città fu portato su diversi punti. Il cannoneggiamento delle mura iniziò alle 5 di mattina del 20 settembre. Pio IX aveva minacciato di scomunicare chiunque avesse comandato di aprire il fuoco sulla città. La minaccia non sarebbe stata un valido deterrente per l’attacco, comunque l’ordine di cannoneggiamento non giunse da Cadorna bensì dal capitano d’artiglieria Giacomo Segre, giovane ebreo comandante della 5ª batteria del IX° Reggimento, che dunque non sarebbe incorso in alcuna scomunica. Il primo punto a essere bombardato fu Porta San Giovanni, seguito dai Tre Archi di Porta San Lorenzo e da Porta Maggiore. Si udirono altri fragori dall’altra parte della città: si trattava dell’azione diversiva della divisione Bixio, posizionata a ridosso di San Pancrazio. Iniziarono i bombardamenti anche sul “vero fronte”, quello compreso tra Porta Salaria e Porta Pia. Furono le batterie 2º (capitano Buttafuochi) e 8º (capitano Malpassuti) del 7º Reggimento di artiglieria di Pisa ad aprire il fuoco alle 5:10 su Porta Pia. Dopo dieci minuti d’intenso fuoco, la breccia era abbastanza vasta (circa trenta metri) da permettere il passaggio delle truppe. Cadorna ordinò immediatamente la formazione di due unità di assalto per penetrare nel varco. Ma l’assalto non fu necessario: verso le ore dieci, dal campo pontificio fu esposta la bandiera bianca pertanto le truppe italiane oltrepassarono la breccia di Porta Pia. Dopo l’irruzione da parte delle truppe italiane dentro la cinta muraria vi furono ancora scontri qua e là che si spensero in poche ore con la resa chiesta dal generale Kanzler. La divisione Angioletti occupò Trastevere, quella di Ferrero l’area compresa tra Porta San Giovanni, Porta Maggiore, Porta San Lorenzo, via di San Lorenzo, Santa Maria Maggiore, via Urbana e via Leonina fino a Ponte Rotto. Le truppe di Mazè si attestarono tra Porta Pia, Porta Salaria e via del Corso occupando piazza Colonna, piazza di Termini e il Palazzo del Quirinale. Quelle di Cosenz presidiarono piazza Navona e piazza del Popolo. Per ordine di Cadorna, così come convenuto con il governo, non furono occupate la Città Leonina, Castel Sant’Angelo e i colli Vaticano e Gianicolo. Alle 17:30 del 20 settembre Kanzler e Fortunato Rivalta (capo di Stato maggiore) firmarono la capitolazione alla presenza del generale Cadorna Il 21 settembre il generale Cadorna prese possesso della città.

 

Recensione Libro : IL FISCHIO DEL VAPORE E GLI ECHI DELLE BATTAGLIE 2020ultima modifica: 2022-03-09T18:48:02+01:00da ferroviere09
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